martedì 17 febbraio 2009

pagliaccio ansiogeno

Scapperò, lontano dalle tue inquietudini costruite con la dovizia di un origami, dai tuoi accordi ansiogeni, dai tuoi immaginari tascabili. mi spiace, ormai giochi a carte scoperte.
verranno le piogge acide e ti laveranno via, verranno le nuove proposte di Sanremo e ti spegneranno del tutto.
E sarà ora che scendi dal tuo ruolo di tronista e torni nella stalla.
oppure ti vedrò a meteore, o a striscia la notizia.
lavati la faccia davanti allo specchio e poi dimmi quanto trucco è colato nel lavandino, quanto ne colerà ancora?
pagliaccio.

giovedì 12 febbraio 2009

non ti aspetto più con gli occhi appoggiati sulle riviste

dimenticarsi con violenza il passato cattivo,prendere treni per viaggi catartici in mattine con la nebbia in bocca. Ho bisogno di un cuore nuovo, meno meschino, più luminoso. Ormai sei sbiadito e non ti aspetto più come facevo dal dottore, con in mano il numero e gli occhi appoggiati sulle riviste.
Ho aspettato per mesi una visita che mi rassicurasse polmoni, gambe e arterie. Ma non è mai arrivato il mio turno.

venerdì 30 gennaio 2009

Ljuba

Sarajevo fu solo l'inizio. vedevo le stanze e le luci delle case dal finestrino del treno verso milano e non potevo tenermele solo per me. E una musica che mi stupra le orecchie continua a suonare, fa male, dentro di me l'uragano. sarei implosa. I tuoi occhi grigi come i palazzi di Sarajevo,dai quali sembri uscito ieri e trapiantato qui per caso.

E tutto sarà bianco come gli stivali delle puttane di Berlino

I soffitti marci delle scuole ci crolleranno addosso. e finiremo nel paradiso degli operatori musicali, dove non ci sarà più spazio per i sorrisi di convenienza e le lusinghe spalmate su kilometri di carta. Da buttare, il mese dopo. Che magari, poi neanche in paradiso saremmo mai felici insieme ma i conti con il mio cuore e le mie mani dovrai farli per forza. Nel viaggio mi terrai per mano, facendoti spazio tra gommonauti fradici, sistemandomi la sciarpa e la borsa, regalandomi un lembo di coperta, vinta con i punti conad. Da noi non esiste l'esselunga.
Sul regionale per Parma, nel bagno più lurido, che anche quelli del Leonkavallo sono meglio, ho trovato schizzi di sangue, il cappuccio di una siringa e il passaporto abbandonato di un ukraino. Dal finestrino del treno fermo alla stazione di Piacenza conto le siringhe. sono 10 quelle che si offrono al mio campo visivo, chissà perchè la gente a Piacenza sta così male. Sono storie di droga, di vite che non sono la mia.
e grazie che non sono la mia.

E' solo la punta di un iceberg, la punta delle mie scarpe, la punta del tuo naso che per te è l'universo.

Tra teorie negazioniste, aborti fatti in cantina e ipotetiche nuove divinità da adorare da casa, tutto ci ha travolto senza mandarci newsletter con ragionevole anticipo.
Da lassù vedremo tutto, non saremo più in collera con i datori di lavoro sbagliati, non ci piangeremo addosso per aver dato fiducia alle persone meno raccomandabili.
E tutto sarà bianco, come gli stivali delle puttane di Berlino.

lunedì 19 gennaio 2009

Le insegne epilettiche alle 12.40

fuori il marrone degli alberi anoressici mitiga le colline di neve incandescente, tutto è avvolto in una immensa nuvola di polvere. E il ponte di ferro bronchitico è l'unico elemento naturale davanti a filari di campi geometrici, stretti nel loro infallibile rigore. Immobili, i vagoni rossi danno un'idea di Polonia, mentre Clementi mi sussurra che la pioggia è dolce, il suo corpo un tempio. Peccato che io non mi inginocchio e non dimentico. Pontili ben curati e terrazzi di tufo, palloni sui soffitti degli asili urlano inascoltati, le panchine sulle quali si siedono stanchi tre rom sono arrugginite dalla noia. C'è una coltre di poesia che avvolge tutti gli oggetti sfregiati da questi regionali lenti come bruchi.
Ma quello che manca è il cuore della città.
Troppo indaffarata a spegnere e accendere lampioni, fanali e insegne epilettiche. 12.4o e sembrano le sette di sera, ma senza la stanchezza tranquilla delle sette di sera.

sabato 17 gennaio 2009

i concerti a rischio incendio

Spegnere gli incendi dei pini arancioni per il sole. Fuori dalla uno vedo la toscana che mi insegue silenziosa come solo la neve sa essere e imporre agli oggetti.
Appena salita sul treno ti avrei voluto raccontare anche di quando mi è morto quel pipisrtello tra le mani e del coniglio che sanguinava impiccato nel giardino spoglio d'autunno.
All'asilo ho picchiato un bambino, rubavo i giocattoli. La pagella delle elementari riportava senza possibilità di equivoco che il mio comportamento era aggressivo.
Non ho mai avuto così tanta paura dei bambini come all'asilo e alle elementari.

Ora vorrei solo farti vedere che mi sono tagliata le unghie e pettinata i capelli. come nelle foto delle elementari. Ti avevo permesso di accarezzarmi, ero un gatto spaventato rivestito di piercing e tatuaggi finti.
Mi stavo lasciando addomesticare dal più irrequieto dei caratteri. perchè mi sembravi disarmato come me sotto i vesiti rossi e neri, sottoi poster in bianco e nero e i nastri adesivi solo grigi.
E lo so che se avessimo dei figli litigheremmo tutti i giorni su come educarli. Ci toglieremmo l'aria a forza di tracciare immaginarie strisce di Gaza per confini invisibili e labili come le tue parole.
Ma le amanti non hanno accrediti e la guerra che ti ho giurato mi ritrovo a combatterla da sola, anche se alla fine a sparare sei tu; ci scambiamo due secondi di fuoco amico. quello che fa più male e poi, con disinvoltura, calpesti i miei occhi spalancati per abbracciarti.

sbranarsi in abitacoli troppo piccoli per i nostri cuori incompatibili

Passano gli anni e mi dici che per te essere qui significa ancora qualcosa, per me no (e ti cullavi nell' illusione di non saperlo).
Sbranarsi in macchina e correre a casa ancora più esterefatti e inconcludenti di prima. Questa volta i graffi sono più profondi e non ho intenzione di tornare da te con il disinfettante.
Mi urli che vedo solo il mio egoismo, ma lo so bene quanto male ti faccio. perchè è esattamente quello che subisco. E scusami se ti rigurgito addosso anche i rancori che non ti appartengono ma è una controffensiva più efficace. Sento dopo mezz'ora che sgommi ubriaco, mi accendo una sigaretta con aria vittoriosa. Quando a perdere siamo tutti e due.
Inutile inventarsi dei fiori che non mi hai regalato, tutto è finito in fretta e grazie a Dio che mi hai abbandonato come i cani d'estate sulle autostrade dopo solo 48 ore.
Poi tutto ci è sfuggito di mano e quello che rimane dalla tua storia fantasma, il bel sogno che hai cercato di concretizzarmi sulla schiena, è sul marciapiede vicino al Sempione.
Per un attimo mi hai fatto quasi pena. (Ho capito che al posto tuo avrei potuto benissimo esserci io e ho avuto pena anche per me).
Sono passati degli anni. Non è un buon motivo per attriburci saggezza e scaldarci le mani a vicenda, ritrovarci per farci compagnia quando la notte ci fa troppa paura. Fondamentalmente nessuno sta stare da solo. Neanche tu che ora sostieni di farcela.
Condividere un abitacolo non vuol dire niente, la protagonista del tuo film non ero io. (E se la sceneggiatura l'avessi scritta un po' meglio anche il mio ruolo lo avresti dato sicuramente ad un altra).
Fragili come vecchi pontili, scricchiolanti come scale di legno e spietati più dell'inverno.
Non l'hai ancora capito che i nostri gruppi sanguigni non sono compatibili?

venerdì 16 gennaio 2009

sono giorni fragili

Milano
Ho una foto squallida,
dalla mia terrazza si vedono finestre accese, contatori e bottiglie. Pozzanghere di intimità violata.
Attraverso un vetro crepato sento il freddo della raccolta differenziata.
Prendo un tram di nebbia, le cravatte il lunedì sono sempre perpendicolari alla terra sulle occhiaie e al cemento solido negli occhi.
E un ex-tossico spaccia alle cinque di pomeriggio ai giardini pubblici e uno zoppo mi ruba la spesa del discount dove lavora e una modella russa davanti al Duomo mi chiede se quello è il centro di Milano.
Le rispondo “No, magari”.
Sono giorni fragili, in equilibrio complicato, la metro è l'arca di Caronte, e non vedo più nemmeno un pezzo di cielo.

La sposa di carta

Confezionami un vestito bianco che è un Kleenex gigante, per mascherare di normalità tutte le mie angosce, le mie nubi grigie, le mie lacrime che non escono.
Perfora le pareti e ricucile piano, sono una tela di Fontana.
In potenza c’è tutto, ma preferirei un deserto di affetto a depositi di plastica bellissima.

Dentro di me uragani scoppiano, scheletri elettrici mi decompongono i ricordi e il cuore diventa scettico. Ho i polmoni in cancrena.
Ipersensibilità relativa, mi innamoro della luce, piango per le foglie morte in autunno ma non riesco a farmi bastare il suo sguardo infinito ed eterno. Un perfetto robot, di cioccolata.

Vorrei conoscerti da sempre e dirlo a tutti. Girare con te ed essere come sulla luna, senza casco, senza tuta, senza cordone ombelicale ma protetta come dentro un’incubatrice.
Se avessi un pesce rosso lo chiamerei come te, trasferirmi domani e dividerci un letto intonso, litigare perché non riesco a spiegarmi e raccogliere tutti i frantumi provocati dalle mie reticenze.
Già te ne vai senza vedermi.
Quando io ero venuta in stazione apposta per abbracciarti.

Un rimorso lungo una vita, bastardaggini reciproche. lecchiamoci le ferite con lingue geografiche.

Ruggine e legno e tarme. Fasci di nervi, goffa , mi assento da tutti i discorsi che durano più di tre minuti, appoggio la testa sul tavolo e chiudo gli occhi. Immagino come sarebbe andata se io non avessi e se tu non avessi e se. fanculo.
Parlo da sola e gesticolo in aria, sospiro e scuoto la testa. Stai ferma con quella tastiera, siamo un coro punk polifonico qua dentro, in questa microscopica cassa cranica, quella toracica è forata da nicotina e catrame. Alleati che confortano e uccidono.
Questo è un aborto di amore.

Stilo documenti excel con pro e contro, i contro sono di più ma vincono i pro, sempre.
Il mantra è che è finita ma ti sogno da qualche giorno:
mi baciavi e poi vomitavi,
mi telefonavi e ti chiamavi Alessandro
mi dicevi che era ok vedersi a Milano.

e non era vero niente. Metastasi neuronale allo stato avanzato.
Mi alzo e piango, vado a letto e vedrai che tutto domani sarà finito.

Anzi, vado a letto, mi alzo e domani finisce tutto.

La tua facoltà di non sentire, la sua possibilità di non parlare

I bambini scudo di Hamas, le bombe su Gaza, le bombe da Gaza, un popolo che non ha mai avuto una casa.
E non lo so se mi chiedi da che parte starei. Possiamo cucirci addosso bandiere con stelle di davide, stelle e strisce, falci e martelli ma tanto la nostra guerra va combattuta dal fruttivendolo.
Dentro quel quotidiano che odi, senza i guanti, con gli occhi diafani. Come fa Anna che non sono io ma vorrei esserlo, che non si arrende, che non capisce ma ama, a volte più lui che sè stessa.
E tu non lo sai che ha messo due parentesi quadre. E lui che lo sa ma fa finta di niente.
Ti invidio quella disinvoltura, la tua "facoltà di non sentire" e la sua "possibilità di non parlare".
Nè buonsenso nè logica.
Brucerete in un rogo di noia.
Vorrei essere Anna e avere un cuore trasparente come vetro. Infrangibile.