fuori il marrone degli alberi anoressici mitiga le colline di neve incandescente, tutto è avvolto in una immensa nuvola di polvere. E il ponte di ferro bronchitico è l'unico elemento naturale davanti a filari di campi geometrici, stretti nel loro infallibile rigore. Immobili, i vagoni rossi danno un'idea di Polonia, mentre Clementi mi sussurra che la pioggia è dolce, il suo corpo un tempio. Peccato che io non mi inginocchio e non dimentico. Pontili ben curati e terrazzi di tufo, palloni sui soffitti degli asili urlano inascoltati, le panchine sulle quali si siedono stanchi tre rom sono arrugginite dalla noia. C'è una coltre di poesia che avvolge tutti gli oggetti sfregiati da questi regionali lenti come bruchi.
Ma quello che manca è il cuore della città.
Troppo indaffarata a spegnere e accendere lampioni, fanali e insegne epilettiche. 12.4o e sembrano le sette di sera, ma senza la stanchezza tranquilla delle sette di sera.
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